sabato 29 gennaio 2011

di cosa ho paura

Non ho paura della morte.
Ho paura di una vita senza senso.
Ho sempre avvertito il bisogno inesauribile di essere utile.
Penso che l’inferno sarà popolato da persone che non avranno niente da fare per tutta l’eternità.

Durante il servizio militare fui assegnato al corpo “Genio guastatori”, uno di quelli più operativi dell’esercito italiano.
Gli ufficiali ci massacravano con marce interminabili e addestramenti specializzati nel trattare dinamite ed esplosivi: non avevamo davvero il tempo di annoiarci.
Ad un certo punto fui trasferito al Tribunale militare, ma prima di arrivarci passai un mese all’interno di una caserma specializzata in “logistica e trasmissioni”, dove eravamo abbandonati a noi stessi ed era un’impresa arrivare a sera con la sensazione di aver fatto qualcosa di sensato.
In quel posto mi resi conto di quanto potessero essere devastanti l’ozio e la noia: sembravamo dei morti viventi che si aggiravano nel cortile di un carcere disorientati e persi.
Quando arrivai al Tribunale militare scoprii poi che quasi tutte le notizie di suicidi di giovani in ferma temporanea che arrivavano ai giudici riguardavano militari che si trovavano in caserme dove non avevano nessun incarico da svolgere.
Mi è capitato spesso di visitare le tombe dei miei cari ed ogni volta che varco la soglia del cimitero rimango rapito dal misterioso fascino che promana da questo luogo. Qualche volta mi soffermo a leggere le date che contrassegnano la vita, talvolta molto breve, di quei volti, spesso sconosciuti, che mi scrutano quasi a voler mettermi in guardia da un esistenza inutile.
Qualche volta mi sono attardato a visitare le zone più antiche di quel sacro luogo, dove la polvere del tempo appena lascia intravedere il viso di quelle persone ormai vissute oltre un secolo fa e di cui forse nessuno più serba il ricordo.
E’ impressionante contemplare quei volti cercando ogni volta di intuire dai loro lineamenti la storia di una vita, probabilmente intessuta di amore e di dolore; una storia di anime che non potrà essere più raccontata da nessuno se non nell’eternità.
Comprendo, allora, che l’unica ragione per la quale siamo stati creati è imparare ad amare, poiché della nostra vita solo l’amore resterà.

lunedì 24 gennaio 2011

il mistero del dolore

Il dolore è un mistero, abisso in grado di suscitare nell’essere umano due reazioni antitetiche: la repulsione e la solidarietà.
La maggior parte degli uomini manifesta una naturale tendenza al rifiuto della sofferenza, nella convinzione che la felicità consista nell’assenza del dolore.
E’ frustrante assistere al dolore disperato di chi non riesce a cogliere il senso di un malessere che conduce all’isolamento, al rifiuto della vita e, qualche volta, alla follia.
L’esistenza dell’uomo sulla terra è caratterizzata dalla più assoluta finitezza, non solo per il fatto che è destinata a consumarsi nel tempo, ma anche perché è tormentata continuamente da un’inesauribile esigenza di abbeverarsi ad un infinito che le dia senso.
Quando questo nutrimento non riesce più ad alimentare l’anima, allora, la sofferenza genera laceranti conflitti interiori, che si manifestano nel grido disperato di chi si ribella al dolore dopo averne invano cercato la ragione: “Ho ricevuto la vita come una ferita aperta ed ho impedito al suicidio di guarirne la cicatrice. Voglio che il creatore, in ogni istante della sua eternità, ne contempli la lacerazione. E’ il castigo che gli infliggo, non ho meritato questo supplizio” (Lautremont).
Ci sono, al contrario, persone che arrivano ad affrontare il dolore con umiltà e speranza, comprendendo che ogni avvenimento umano possiede una sua intima, e spesso misteriosa, ragion d’essere:
“l’uomo ha delle zone del suo cuore che non esistono ancora e dove il dolore entra perché esse esistano”.
Ogni fenomeno di nascita, crescita e maturazione è accompagnato dal dolore, sentimento al quale è legata in maniera indissolubile la gioia e la felicità: “quanto più in fondo vi scava il dolore, tanta più gioia potrete contenere” e “quando siete contenti, guardate in fondo al vostro cuore e scoprirete che ieri avete sofferto per quello che oggi vi rende felici” (Gibran).
Non so spiegare il dolore innocente che ho conosciuto nella mia vita.
Quello che so è che ogni volta che l’ho incontrato sul mio cammino qualcosa dentro di me è cambiato.
E’ questo forse il mistero più grande.

mercoledì 19 gennaio 2011

sabato 15 gennaio 2011

la fine di un amore

Qualche giorno fa ho incontrato un caro amico che sta soffrendo molto per la fine del suo amore e non ho potuto fare a meno di ripensare agli anni dei miei studi universitari, quando ho vissuto anch'io la fine del primo, vero, grande amore della mia vita.
Ho sperimentato allora l’angoscia dell’oblio infinito e definitivo, così bene descritta in un celebre libro sulla biologia contemporanea: «L'uomo finalmente sa di essere solo nell'immensità indifferente dell'universo da cui è emerso per caso. Il suo dovere, come il suo destino, non è scritto in nessun luogo».
Con il tempo ho capito, poi, che quella sensazione di vuoto dipende da uno stato d’animo per fortuna passeggero poiché, con il passare del tempo, poco a poco la vita ricomincia a riempirsi di senso.
L’ ”oblio infinito e definitivo” non è infatti una realtà oggettiva, dal momento che mano a mano che crescevo scoprivo sempre più chiaramente che niente nella vita succede per caso e che la potatura dei nostri rami superflui determina sempre una maturazione evidente della nostra personalità.
Non esiste, comunque, esperienza più bella nella vita che quella della piena comunione tra due anime innamorate. È come se tutta la propria esistenza, passato, presente e futuro, ricevesse luce e senso da quella comunione sorprendente.
Il mondo intero acquista significato e bellezza, colorandosi di tinte straordinarie ed incredibilmente variegate. Al centro di questo universo rinnovato, poi, risplende l’anima radiosa degli innamorati che riscalda tutto l’ambiente che li circonda.
Il fascino che un’anima innamorata è in grado di esercitare sulle persone durante un tale momento è irresistibile: quando sei innamorato sembra che tutte le persone ti inseguano, poiché nei tuoi occhi risplende una luce che affascina tutto il mondo circostante; quando torni ad essere solo, invece, pare che non ci sia più nessuno che ti noti, prova lampante del fatto che nelle relazioni personali l’interiorità è molto più importante del dato esteriore.
Non esiste, però, neanche niente di più effimero di una tale condizione.
Un attimo prima ti senti al centro del mondo; un attimo dopo sprofondi nell’abisso della disperazione.
Hai l’impressione, allora, di essere diventato una parte minuscola ed insignificante nell’abisso di un inutile universo. Scoprirsi improvvisamente abbandonati dall’intera creazione rappresenta il momento più difficile nella vita di una persona. Si cerca, allora, di rimanere vivi almeno nei pensieri della persona amata, ma l’implacabile destino non dà scampo: è necessario morire per rinascere.
Guai alle persone per le quali un amore umano diventa l’unica ragione della loro vita. Non esiste errore più pericoloso ed ineluttabile, poiché nella quasi totalità dei casi esso è praticamente inevitabile.
L’amore umano è stato creato per ricordare agli uomini che fino a quando saranno sulla terra il desiderio di felicità che alberga nel loro cuore non potrà ricevere mai pieno compimento.

lunedì 10 gennaio 2011

legato alla terra

Sono stato un pò di giorni al mio paesello in provincia di Napoli.
Vivo ormai da quindici anni a Verona e Napoli non mi manca troppo: ho un rapporto di amore/odio con la mia città d'origine.
Ogni volta che ci torno, però, mi colpisce il colore della terra: le campagne delle mie parti, infatti, non sono coltivate in maniera organica ed ordinata come avviena al nord, ma hanno qualcosa che mi rapisce, una certa desolazione che chiede di essere vissuta e respirata a pieni polmoni.
E’ stata mia madre ad iniziarmi alla scoperta dei misteri di questa terra.
La domenica raccoglieva figli e nipoti e si partiva all’avventura, in giro per boschi, montagne e pianure verdeggianti.
Lei, del resto, aveva vissuto l’infanzia e gran parte dell’adolescenza in mezzo alla campagna: in una masseria poco fuori dal paesello dove abitavano tutti i parenti.
I nonni lavoravano la terra e le hanno trasmesso l’amore per le cose semplici. Anch’io da bambino andavo spesso alla masseria e ricordo ancora l’incanto che la campagna riusciva a trasmetterci: i panni stesi ad asciugare; le gallinelle che saltellavano nell’aia; il sapore del granoturco abbrustolito; la meraviglia del cielo stellato, che solo dai campi si riesce a cogliere in tutta la sua grandiosità.
Non ho mai dimenticato quella terra ed ancora oggi, appena posso, ci ritorno per riassaporare quelle sensazioni mai sopite.
Il contatto con la natura ha lo straordinario potere di rigenerarmi: mi piace scoprire ogni volta posti nuovi, anfratti nascosti, pendii scoscesi, dove nessuno è mai stato, e nel silenzio dei boschi ascoltare la voce del creato che mi sussurra all’orecchio il mistero del mondo.