sabato 15 dicembre 2012

o magnum mysterium

Perché le mie tre virtù, dice Dio
Le tre virtù mie creature
Mie figlie, mie fanciulle
Sono anche loro come le altre mie creature
Della razza degli uomini
La Fede è una Sposa fedele
La Carità è una Madre
Una madre ardente, ricca di cuore
O una sorella maggiore che è come una madre
La Speranza è una bambina insignificante
Che è venuta al mondo il giorno di Natale dell'anno scorso
Che gioca ancora con il babbo Gennaio
Con i suoi piccoli abeti in legno coperti di brina dipinta
E con il suo bue e il suo asino in legno dipinti
E con la sua mangiatoia piena di paglia che le bestie non mangiano
Perché sono di legno
Ma è proprio questa bambina che attraverserà i mondi
Questa bambina insignificante
Lei sola, portando gli altri attraverserà i mondi passati
Come la stella ha guidato i tre re dal più remoto Oriente
Verso la culla di mio figlio
Come una fiamma tremante
Lei sola guiderà le Virtù e i Mondi
e squarcerà le tenebre eterne.

Charles Péguy  



giovedì 6 dicembre 2012

ri(morsi)

Mia nonna, nata nel 1898, mi raccontava che suo fratello quattordicenne aveva passato tutta la giovinezza in carcere per aver “giustiziato” il guappo del paese, reo di aver schiaffeggiato pubblicamente suo padre. Concludeva il racconto aggiungendo anche che i gendarmi, pur non potendo esimersi dall’arrestare il ragazzo, ci tennero a fargli sapere che aveva liberato un paese intero dal giogo del prepotente di turno. Nonostante il mio paese avesse sempre “vantato” tradizioni di un certo rilievo in materia di uomini dal grilletto facile, quello che era accaduto negli ultimi tempi non aveva precedenti.
Nel giro di pochi mesi erano stati ammazzati cinque ragazzi poco più che ventenni; alcuni di loro erano stati miei compagni di scuola. Vittime della lotta tra i clan scatenatasi per l’accaparramento dei fondi stanziati dallo Stato per fronteggiare l’emergenza del dopo-terremoto, erano caduti in agguati tesi per strada alla luce del giorno. Il miraggio di ingenti guadagni “facili”, per quanto possa considerarsi facile guadagnare soldi controllando il mercato della droga o regolare conti a suon di piombo, li aveva irretiti.
In un paese di circa diecimila abitanti è chiaro che sapevamo tutti in quali “giri” erano finiti i ragazzi; vederli giacere per terra senza vita era però tutt’altro discorso. Quanto valeva all’epoca una vita umana? Pressappoco cinquecentomila vecchie lire, e sembrava quasi che tutta la cittadinanza assistesse indifferente alla strage. Peraltro, tutti sapevamo che all’appuntamento con la morte mancava una sesta persona, finora scampata alla mattanza, e tuttavia nessuno apriva bocca.
Mi posi anch’io il problema di cosa fare.
Non ero mai andato d’accordo con lui, avevamo spesso fatto a botte da ragazzi e, nonostante fosse più grande di me di un paio d’anni, non gliel’avevo mai data vinta. Più di una volta, infatti, aveva fatto irruzione nei nostri giochi da ragazzi con atti di prepotenza che mettevano fine al nostro divertimento. Mentre tutti i miei coetanei subivano passivamente i soprusi, io non riuscivo a controllarmi e sovente reagivo. In questi casi utilizzavo la tecnica del “colpisci e scappa” e siccome ero molto veloce, anche perché la paura mi metteva le ali ai piedi, non mi ha mai preso. Adesso, però, dovevo mettere da parte i vecchi rancori e farmi avanti; dovevo avvertirlo che aveva i giorni contati, che stavano per ammazzarlo. Ma possibile che non ne fosse anche lui consapevole? E allora perché continuava a frequentare gli stessi ritrovi abituali come se niente avesse da temere? E poi perché dovevo essere proprio io a dirglielo? In nome di quale vecchia amicizia? Possibile che non l’avesse avvertito già qualcun altro?
In paese si diceva che lui stesso aveva ammazzato a sua volta diversi “colleghi” di lavoro antagonisti e la domanda che non potevo fare a meno di pormi era: meritava poi veramente di vivere uno così? Ma quale uomo può dire in coscienza di meritare di vivere? Mentre mi ponevo tali interrogativi il destino regolò i suoi conti in maniera inesorabile e senza attendere le mie risposte.
Avrei potuto evitarlo? Forse no, ma avrei potuto e dovuto almeno provarci!
Per far tacere la mia coscienza nei mesi che seguirono decisi di scrivere un volantino che avrei distribuito alla cittadinanza allo scopo di scuotere i cuori di tutti dall’indifferenza che li rendeva gelidi.
La responsabilità di quello che era accaduto è di tutti noi, scrissi, poiché se la cultura di morte ha trovato spazio nelle nostre case è perché non siamo stati capaci di seminare e far crescere quella cultura della vita che avevamo il dovere di trasmettere. Solo investendo risorse ed idee sull’educazione dei ragazzi si sarebbe potuta arginare quella spirale di violenza che aveva sconvolto la quiete cittadina.
Mi sembrava ancora troppo poco ma era tutto quello che ero riuscito a fare.
Anche oggi, guardando gli omicidi che, purtroppo con frequenza quasi quotidiana, insanguinano le strade di Napoli, sono convinto che né l’esercito, né particolari strumenti di repressione del fenomeno, per quanto straordinari, possano risolvere il problema.
La battaglia o si riesce a vincere sul piano educativo o non si vincerà mai.


venerdì 30 novembre 2012

Tangerine Dream

Se la vita è un viaggio, non c’è viaggio che si rispetti senza una degna colonna sonora: straordinaria è la capacità della musica di spalancare orizzonti ed evocare ricordi ed emozioni. Ho sempre avuto un rapporto molto speciale con la musica: essa è stata per me compagna di viaggio inseparabile, ed io le sono stato instancabile apostolo e ben presto ho sviluppato una sensibilità musicale fuori dal comune, al punto che riesco a cogliere al primo ascolto l’originalità dell’intuizione creativa di un artista. Quando mi imbattevo in un disco veramente bello, poi, non resistevo alla tentazione di farlo ascoltare subito ai miei amici, perché il bene ed il bello sono per loro intima natura comunicativi: quanti dischi ho registrato agli altri per puro desiderio di diffondere una cosa bella, illudendomi in tal modo di stare in qualche modo contribuendo a rendere più bello il mondo stesso. Sarebbe chiaramente inutile fare ora una classifica personale dei miei dischi preferiti, mi limito soltanto a dire che alla classica domanda “Beatles o Rolling Stones?”; rispondo tranquillamente Pink Floyd e Genesis. Ricordo un episodio che la dice lunga sulla profondità della mia passione musicale. Quand’ero ancora ragazzo provavo una particolare soddisfazione a riconoscere l’impronta di un’artista sin dai primi attimi di ascolto ed una volta un amico, per mettermi alla prova, andò a cercare un disco sconosciuto di un gruppo sconosciuto e me lo fece ascoltare. Alla fine del disco mi chiese a chi appartenesse quella musica ed io, che non avevo mai sentito prima né il disco né il relativo complesso musicale (per di più si trattava di una musica solo strumentale, per cui era impossibile stabilire anche la nazionalità degli autori), azzardai un nome tra le centinaia possibili. L’amico mi guardò sconcertato ed incredulo e rimase senza parole: si trattava di musicisti tedeschi ed il loro nome era Tangerine Dream ed io l’avevo azzeccato al primo colpo.

mercoledì 21 novembre 2012

Long hard road

Perchè certi giorni facciamo tanta fatica ad accettarci così come siamo?
Vorremmo essere tutto tranne noi stessi...



giovedì 15 novembre 2012

la piccola bambina

E quel che è facile e istintivo è disperare ed è la grande tentazione.
La piccola speranza avanza fra le due sorelle maggiori e su di lei nessuno volge lo sguardo.
Sulla via della salvezza, sulla via carnale, sulla via accidentata della salvezza, sulla strada interminabile, sulla strada fra le sue due sorelle la piccola speranza. Avanza.
Fra le due sorelle maggiori. Quella che è sposata. E quella che è madre.
E non si fa attenzione, il popolo cristiano non fa attenzione che alle due sorelle maggiori. La prima e l'ultima. Che badano alle cose più urgenti. Al tempo presente. All'attimo momentaneo che passa.
Il popolo cristiano non vede che le due sorelle maggiori, non ha occhi che per le due sorelle maggiori.
Quella a destra e quella a sinistra. E quasi non vede quella ch'è al centro.
La piccola, quella che va ancora a scuola. E che cammina. Persa fra le gonne delle sorelle.
E ama credere che sono le due grandi a portarsi dietro la piccola per mano. Al centro. Fra loro due.
Per farle fare questa strada accidentata della salvezza.
Ciechi che sono a non veder invece Che è lei al centro a spinger le due sorelle maggiori.
E che senza di lei loro non sarebbero nulla. Se non due donne avanti negli anni.
Due donne d'una certa età. Sciupate dalla vita.
È lei, questa piccola, che spinge avanti ogni cosa.
Perché la Fede non vede se non ciò che è. E lei, lei vede ciò che sarà.
La Carità non ama se non ciò che è. E lei, lei ama ciò che sarà.
La Fede vede ciò che è. Nel Tempo e nell'Eternità.
La Speranza vede ciò che sarà. Nel tempo e per l'eternità. Per così dire nel futuro della stessa eternità.
La Carità ama ciò che è. Nel Tempo e nell'Eternità. Dio e il prossimo.
Così come la Fede vede. Dio e la creazione. Ma la Speranza ama ciò che sarà. Nel tempo e per l'eternità. Per così dire nel futuro dell'eternità. La Speranza vede quel che non è ancora e che sarà.
Ama quel che non è ancora e che sarà. Nel futuro del tempo e dell'eternità.
Sul sentiero in salita, sabbioso, disagevole. Sulla strada in salita.
Trascinata, aggrappata alle braccia delle due sorelle maggiori, Che la tengono per mano,
La piccola speranza. Avanza. E in mezzo alle due sorelle maggiori sembra lasciarsi tirare.
Come una bambina che non abbia la forza di camminare.
E venga trascinata su questa strada contro la sua volontà.
Mentre è lei a far camminar le altre due. E a trascinarle, E a far camminare tutti quanti, E a trascinarli.
Perché si lavora sempre solo per i bambini.
E le due grandi camminan solo per la piccola.

Charles Péguy            da   "Il portico del mistero della seconda virtù"

martedì 6 novembre 2012

infinito

Ci si perde per noia.
Pur di uscire dall'apparente grigiore della vita quotidiana, molta gente è disposta a concedersi le evasioni più sfrenate e disumanizzanti.
Cerchiamo di riempire con qualsiasi cosa questo vuoto che sentiamo nell'anima e che, purtroppo o per fortuna, nessun bene creato su questa terra può soddisfare. Il nostro cuore è stato creato per il bene infinito e, pertanto, tutto ciò che è finito non lo appaga se non per breve tempo.
Da ragazzo la felicità per me era rappresentata da una distesa di terreno, un pallone da calcio e due squadre di giocatori: avrei passato l'intera vita a giocare all'aria aperta.
I miei amici, tuttavia, dopo una partita o due si stancavano e se ne tornavano a casa: rimanevo spesso da solo in mezzo al campo a rincorrere il mio sogno di felicità e non riuscivo a capire come mai gli altri ragazzi non comprendessero il mio desiderio di gioia infinita.
Una volta cresciuto ho cercato di colmare questo desiderio d'infinito mediante il contatto con la natura, attraverso la quale mi riesce più facile percepire il mistero della vita e del mondo.
La semplice bellezza dell'universo comunica in qualche modo l'immagine del creatore: ci sono persone che arrivano a Dio attraverso la speculazione filosofica e la ragione; altre ci arrivano prima attraverso la contemplazione della natura nella quale colgono l'impronta del creatore.
Io credo di appartenere alla seconda categoria: quando mi trovo immerso nella natura l'esistenza di Dio diventa per me evidente.
Se giungessimo a comprendere realmente a cosa anela la nostra anima smetteremmo di abbeverarci alle pozzanghere. Il vuoto impresso nel nostro cuore, che troppo spesso consideriamo una disgrazia e che può condurci talvolta alla disperazione, può diventare invece una grazia indispensabile per la salvezza.
Può condurci alla comprensione di ciò che realmente siamo: creature dipendenti in tutto e per tutto da Colui che questo vuoto ha stampato nella nostra anima proprio perché non dimenticassimo mai il nostro destino eterno, anzi lo desiderassimo ardentemente e con tutte le nostre forze.


lunedì 29 ottobre 2012

il segreto della felicità

Ieri mattina avevo deciso di andare a correre.
Scelgo sempre posti nuovi per farlo, perchè ho bisogno di riposare la mente oltre che il corpo.
La settimana scorsa avevo scoperto un posto veramente affascinante: un tratto di sentiero un po' selvaggio lungo il fiume che non avevo mai percorso e, perciò, ieri ero ansioso di ritornarci per continuare ad esporarlo.
C'era un solo problema: pioveva a dirotto e infuriava un vento freddo.
Chissenefrega, mi sono detto, non saranno certo quattro (???) goccie a fermarmi.
Mi sono armato di una giacca a vento ed un cappello e sono salito in auto.
Ho acceso lo stereo ed ho alzato il volume.
Amo particolarmente ascoltare musica viaggiando.
Dopo pochi minuti ho visto un barbone che già conosco camminare infreddolito sotto la pioggia.
Cosa posso fare per lui, mi sono chiesto? Davvero poco, devo prenderne atto.
Ma anche quel poco forse può servire a qualcosa.
Allora ho spento lo stereo, offrendo questa piccola rinuncia per quel poveretto.
Arrivato a destinazione mi sono accorto che non pioveva poi così tanto ed ho cominciato a correre.
Sarà stata la sorpresa di avventurarmi in una zona inesporata, oppure il fatto che nonostante la pioggia e il vento potevo benissimo correre senza problemi, fatto sta che mi ha invaso un senso di felicità del tutto sproporzionato rispetto alle circostanze esterne.
Anche quando ha cominciato a piovere più forte ed il vento si è tramutato quasi in tempesta neanche una goccia d'acqua è riuscita a bagnare la mia anima, anzi: più forte infuriava il vento più forza sembravano acquistare le mie gambe.
Certo avevo le scarpe, i piedi e le gambe completamente inzuppati, ma ero felice, di una felicità assoluta.
E' stato allora che ho sentito il bisogno di ringraziare il Dio delle piccole cose per quella sorprendente ed inaspettata felicità.







giovedì 18 ottobre 2012

la scala misteriosa

Nel settembre del 1852 alcune Suore di Lorette partirono per il Sud-Ovest degli Stati Uniti, tra il Kentucky, il Missouri ed il Kansas, e si fermarono a Santa Fe, nel New Messico.
Il viaggio fu difficile e pieno di rischi, al punto che durante il tragitto la superiora, madre Mathilde, morì di  colera.
Le suore giunte a destinazione, Madeleine, Catherine, Hilaire e Robert, si installarono in una casetta, in mezzo ad una popolazione composta principalmente da messicani e da indiani. La loro prima preoccupazione fu quella di costruire un convento e una cappella. Esse fecero dunque venire alcuni carpentieri messicani e, ben presto, venne edificata una scuola: il Collegio di Lorette e, il 25 luglio 1873, cominciò la costruzione della cappella.
L'edificio venne posto sotto la protezione di San Giuseppe, ma a cappella finita le suore si accorsero che se da un lato la realizzazione era notevole, tuttavia era stato fatto un errore grossolano: nessuna scala di collegamento era stata prevista tra la tribuna ed il coro e, tenuto conto dell'altezza della tribuna, era impossibile installarne una!
Suor Madeleine fece venire numerosi carpentieri per provare a risolvere il problema, ma tutti i tentativi risultarono vani. Alcuni proposero di mettere una scala semovente, altri di radere al suolo l'intero edificio e ricostruirlo; perciò le suore preferirono fare una novena a San Giuseppe, che era falegname, ed attendere un aiuto efficace.
L'ultimo giorno della novena, un uomo che spingeva un asino carico di attrezzi si fermò alla cappella e propose di costruire lui la scala, cosa che le suore, dopo un rapido consulto, gli accordarono di fare.
L'uomo possedeva solamente tre attrezzi: una sega, un martello e una squadra a forma di T.
Dopo sei mesi, il lavoro fu finito.

L'uomo sparì dall'oggi al domani. Senza lasciare tracce. E senza aver chiesto nemmeno un soldo. Madre Madeleine, preoccupata di assolvere il suo debito, andò alla segheria per pagare il discreto carpentiere e il legno. Ma ecco la sorpresa: nessuno conosceva l'uomo e nessun documento riguardava un acquisto di legno per la cappella. Primo mistero. Il secondo, non certamente da meno, riguarda la scala. È un vero capolavoro composto da due spirali complete (2 x 360°) che poggiano su sé stesse; a differenza della maggior parte delle scale a chiocciola, essa non ha nessun pilastro centrale per sostenerla. Il che vuol dire che è sospesa senza nessun supporto. Tutto il suo peso grava sul primo scalino.
Suor Florian, che ha lasciato un racconto di questa storia (cfr. rivista Saint-Joseph, aprile 1960), scrive: "Parecchi architetti hanno affermato che questa scala sarebbe dovuta crollare al suolo nel momento stesso in cui la prima persona si fosse azzardata sul primo scalino. E tuttavia essa è stata utilizzata quotidianamente per oltre cento anni.
La scala è stata assemblata esclusivamente con perni di legno: non c'è un solo chiodo. Attualmente, la parte localizzata sotto gli scalini tra il montante e la cremagliera assomiglia al legno leggero. In realtà, si tratta di gesso mescolato al crine di cavallo, destinato a dare rigidità.
Troppo numerosi sono i visitatori che si sono lasciati prendere dalla tentazione di portarsi a casa un souvenir, e che perciò hanno strappato dalla scala dei pezzi di gesso. Nel 1952, quando le Suore hanno festeggiato il centenario del loro arrivo a Santa Fe, hanno sostituito il gesso, e l'hanno dipinto in modo da dargli l'aspetto di smalto color legno".
 

All'epoca della sua costruzione, la scala non aveva ringhiere. Esse furono aggiunte cinque anni più tardi.
Migliaia di visitatori sono venuti - dal mondo intero - per esaminare questa scala misteriosa. Tra essi, numerosissimi architetti, e tutti hanno ammesso che non comprendevano assolutamente come la scala sia stata costruita, né come abbia potuto rimanere in buono stato dopo decine di anni di utilizzo. Urban C. Weidner, architetto della regione di Santa Fe e perito di rivestimenti in legno, ha detto che non aveva visto mai una scala a chiocciola su 360° che non fosse sostenuta da un pilastro centrale. Una delle cose più sorprendenti a proposito di questa scala, secondo Weidner, è la perfezione delle curve dei montanti. Egli ha spiegato che il legno è raccordato (nel gergo della falegnameria si dice "innestato") sui lati dei montanti da nove spacchi di innesto sull'esterno, e da sette sull'interno. La curvatura di ogni pezzo è perfetta. Come puo essere stata realizzata una scala simile nel 1870, da un uomo che ha lavorato da solo, in un luogo isolato, con degli attrezzi più che rudimentali? Numerosi periti del legno hanno tentato di identificare il tipo di legname utilizzato, in modo da individuare la sua origine, ma senza trovare risposte. Gli scalini, instancabilmente utilizzati per più di un secolo, non presentano segni di usura che sul bordo. Uno di questi periti pensa di avere identificato questo legno come "un tipo di pino granuloso sui bordi, impossibile da trovare in America".

domenica 7 ottobre 2012

I nuovi sentimenti

 
Qualche anno fa, eravamo nel 2006, un gruppo di scrittori veneti pubblicò un libro dal titolo emblematico: "I nuovi sentimenti", a cura di Romolo Bugaro e Marco Franzoso.
Si trattava di una serie di racconti, prevalentemente autobiografici, che avevano come punto di partenza una riflessione comune: "di cosa parliamo quando parliamo di sentimenti e delle passioni? Ci è stato insegnato che l'amore è una certa cosa, via via trasformatasi e rinnovatasi, senza cambiare natura. Ma oggi siamo davvero sicuri che l'amore sia ancora quel che era un tempo? Non sarà che, senza che noi ce ne accorgessimo, a forza di trasformarsi e reinventarsi abbia subito una mutazione, abbia cambiato specie? Come posso, ad esempio, immaginare di amare una persona per tutta la vita, quando vedo che ormai quasi nessuno ama più per tutta la vita? Siamo così instabili, noi tutti, oggi, così privi di centro. Possiamo immaginare che questo essere "senza centro" non sia la causa del nostro malessere, ma l'escamotage che abbiamo inventato per sopravvivere - se non indenni, almeno non troppo malinconici - al cambiamento incessante?"
Devo confessare che all'epoca comprai il libro per la bellissima copertina ed il titolo intrigante, ma il contenuto non mi entusiasmò granchè: le storie raccontate avevano infatti quasi tutte un fondo di malinconia e mancanza assoluta di speranza.
Mi colpì, in particolare, il racconto di Marco Bellotto, dal titolo "Tradimento". Mi colpì la disarmante sincerità con cui raccontava il fallimento della sua vita, con queste parole: "il mio amico Romolo Bugaro si è inventato una versione da terzio millennio dello stoicismo o dell'esistenzialismo. Si chiama titanismo, è una forma di cinica crudeltà con se stessi che si può permettere solo chi ha talento. Anche il titano è destinato alla sconfitta, naturalmente, ma la sconfitta del titano è gloriosa. Che la tua disfatta sia splendente, titano Romolo.
Noi tutti avevamo talento, ognuno a suo modo. Dio aveva posato la sua mano sulla nostra testa. E ognuno di noi lo ha dissipato in modo infame. I tempi sono quelli che sono, l'epoca, il tramonto dei valori...
Stronzate, nessuno di noi può essere perdonato. Molte generazioni prima della nostra hanno vissuto sull'orlo dell'abisso. La verità è che esistono epoche dolci ed epoche schifose. Epoche dure e maledette, in cui puoi solo affrontare il tuo tempo e batterlo. Essere più grandi del mostro, inventare un nuovo giardino e nuovi sentimenti. Oppure tradire con disonore. Noi abbiamo gettato al vento la nostra possibilità. Io ho scritto un romanzo, è vero, e ne sto scrivendo un altro, ma tutto quello che volevo dalla vita era diventare un uomo buono e forte, e invece sono un debole. Combatto il dolore con l'alcol o accendendo un computer, ma sto fallendo e questo è tutto quello che posso dire di me stesso".
Ricordo che questa confessione di Marco mi toccò nel profondo perchè mi parve di trovare finalmente qualcuno che dei propri fallimenti incolpava soprattutto se stesso e non il sistema, la società o l'epoca difficile che aveva trasformato i sentimenti in qualcosa di fragile e precario.
Finalmente qualcuno si assumeva le proprie responsabilità e riconosceva che l'uomo è sempre l'artefice del proprio destino: il nemico è dentro di noi non fuori.
Marco Bellotto purtroppo non potrà scrivere più niente su questa terra: si è suicidato sabato scorso; aveva la mia età.
Io voglio sperare che il Dio della misericordia lo avrà accolto nelle sue braccia, se non altro per la sincerità che ha avuto nel raccontare senza pretesti la sua lotta interiore contro il mostro che tutti abbiamo dentro.

giovedì 27 settembre 2012

Arte e vita



"Picasso non solo ha cambiato la pittura, ma anche la letteratura, il cinema, la musica e l'architettura; non è riuscito però a cambiare se stesso"; queste parole del poeta russo Evgenij Evtushenko mi sembrano particolarmente appropriate per affrontare l'argomento Picasso.
Stimolato da un articolo bello e ricco di spunti di Francesca Lanzarotti, questo, che presenta la mostra in corso a Milano sul pittore più amato e odiato della storia dell'arte, pensavo al rapporto che intercorre tra arte e vita: si può essere dei geni e condurre uno stile di vita cinico e dissoluto?
Sembrerebbe proprio di si, esaminando le note biografiche di Picasso".
Morirò senza avere mai amato", dichiarò un giorno a Françoise Gilot, l'unica donna che cercò di sottrarsi al massacro psicologico cui l'artista sottoponeva le sue conquiste femminili, diverse delle quali morirono suicide.
Persino una personalità forte come Dora Maar, stimata fotografa, ben introdotta nella cerchia dei Surrealisti, colta, spregiudicata, indipendente, si lasciò a poco a poco sopraffare dalla sadica personalità di Picasso, che prima la indusse ad abbandonare la fotografia per la pittura e poi la derise con critiche distruttive.
Cominciò addirittura a picchiarla scatenando il lato fragile e masochista della donna che, da rabdomante, Picasso aveva subito colto: «Dora, per me, è sempre stata la donna che piange... Era l'incarnazione stessa del dolore... Un giorno, finalmente, sono riuscito a ritrarla così».
Quel quadro, celeberrimo, è diventato uno dei più pagati di Picasso.
Dopo sette anni condivisi con altre amanti, Dora viene lasciata e cade in una depressione dalla quale si riprende a stento.
«Non sono stata l'amante di Picasso. Era solo il mio padrone», dirà poi nei lunghi anni trascorsi in totale solitudine, da autoreclusa. «Solo io so quello che lui è ...è uno strumento di morte ...non è un uomo, è una malattia». 
Devo confessare che, ancor prima di conoscere il suo stile di vita, i quadri di Picasso non erano mai riusciti a trasmettermi alcuna emozione; da profano, però, lascio agli esperti il giudizio sulla sua genialità e mi limito soltanto a dire che se avesse provato a cambiare anche un po' se stesso forse ci avrebbe lasciato dei quadri infinitamente più belli

mercoledì 19 settembre 2012

Caterina

Caterina era una ragazza un po’ buffa, dall’aspetto goffo e paffuto: quando era emozionata le si accendevano due lampioni rossi sulle guance e la viva luce degli occhi le faceva risplendere il volto. Era il bersaglio preferito dei compagni di classe più spietati, poiché ogni volta che apriva bocca non riusciva mai a nascondere quanto immatura fosse ancora la sua percezione della vita. Le sue compagne più sensibili non riuscivano a fare altro che trattarla come la sorellina più piccola e buffa, con la conseguenza che, pur di richiamare l’attenzione, Caterina accentuava ancora di più i suoi atteggiamenti infantili. All’inizio cercai anch’io di essere gentile con lei, non raccogliendo le tante occasioni che l’ambiente scolastico offriva per mettere alla berlina i personaggi più goffi. Lei colse subito il mio atteggiamento e mi elesse inaudita altera parte come fratello maggiore. Ben presto, però, si rese conto che come fratello maggiore ero tutt’altro che accomodante, poiché cominciai a farle notare puntualmente l’idiozia dei suoi comportamenti e questo generava frequenti litigi tra di noi. I miei compagni assistevano un po’ sorpresi ai nostri battibecchi; risultava loro incomprensibile il fatto che perdessi tanto tempo dietro ad una simile creatura. Le compagne, invece, giudicavano troppo brusco e poco delicato il mio modo di trattarla; Caterina, dal canto suo, dava l’impressione di aver compreso che mi stava a cuore sinceramente la sua maturazione, per quanto dolore potessero arrecarle i miei modi. Le schermaglie andarono avanti per parecchi mesi tra discussioni e pianti, finché un giorno mi accorsi che la bambina era finalmente cresciuta. Per qualche tempo la scoperta non mutò i nostri rapporti; continuavamo a litigare come per inerzia, ma sempre con maggiore soddisfazione reciproca. Un giorno, al termine dell’ennesima discussione, la guardai negli occhi e le dissi: ”sei cambiata Caterina”.
Lei, allora, si volse verso di me e con uno sguardo malinconico rispose: ”Sei l’unico che se ne è accorto”.
Alla fine del liceo la persi di vista, ma non dimenticai mai quelle parole.
La incontrai, per caso, dopo alcuni anni e stentai a riconoscerla: era diventata esile quanto lo stelo di un fiore. Compresi, allora, il dramma che stava vivendo: l’avevo addestrata a tirare fuori gli artigli contro di me ed ecco che adesso li aveva rivolti verso il suo aspetto fisico. La tigre stava sbranando se stessa!
“Sono contento di vederti”, le dissi trattenendo a stento l’emozione; “anch’io”, rispose, abbozzando un lieve sorriso. Restammo pochi minuti a parlare, nel bel mezzo di una strada affollata da gente che si agitava per le ultime compere natalizie e ci lasciammo con la promessa di rivederci presto.
Si smette di mangiare o per troppo amore o per troppo dolore, oppure perché il proprio aspetto fisico, che spesso viene identificato con il peso corporeo, è divenuto l'unico vero grande valore dell'esistenza. Quando ci si innamora, infatti, si perde temporaneamente la sensazione dell’appetito: il cuore è talmente pieno che sembra impedire che entri qualsiasi altra cosa nel nostro corpo. Per fortuna in questi casi l’appetito ritorna appena l’innamoramento si “normalizza” e l’entusiasmo affettivo viene incanalato entro binari ordinari. Più distruttiva è l’anoressia che nasce da quello scontro frontale con la vita rappresentato da un evento particolarmente doloroso e traumatico che scuote le fondamenta dell’esistenza della persona. Mai come in questo caso, dunque, quel pallone gonfiato che siamo noi tutti, invece di continuare a gonfiarsi di cose inutili, comincia lentamente a sgonfiarsi, fino a che non resta più niente, neanche la forza di sopravvivere.
Una settimana dopo l’incontro con Caterina, l’impronta della morte sul suo viso continuava a tormentarmi e così decisi di rivederla: non potevo accettare che buttasse via così la sua vita. Mi accolse senza molto trasporto e restammo a parlare a lungo dei tempi del liceo, dei vecchi amici e di come eravamo cambiati tutti. Ad un certo punto l’abbracciai e, stringendola forte, tanto da sentire le sue ossa come aghi di spillo sul mio corpo, le dissi che non avrei trovato pace finché non l’avessi vista guarita, strappandole la promessa che avrebbe almeno provato a reagire. Lasciandola le chiesi di chiamarmi ogni volta che avesse avuto bisogno d’aiuto: l’avrei raggiunta ovunque mi trovassi.
Non credevo che ce l’avrebbe fatta ed allora, ricordandomi dei fioretti che facevo da bambino per chiedere al buon Dio qualche cosa che mi stava particolarmente a cuore, decisi di smettere di fumare fino a che Caterina non fosse stata fuori pericolo; a quel tempo fumavo di gusto!
Tre mesi dopo mi arrivò una sua lettera in cui mi diceva che aveva finalmente ritrovato il gusto di vivere e concludeva: “tante persone in questi mesi mi hanno ripetuto sempre la stessa frase: ‘devi reagire prima che sia troppo tardi’. Una sola volta, però, ho sentito che la persona che me la diceva avrebbe dato la sua vita per la mia. Solo allora ho trovato la forza di reagire”.

venerdì 14 settembre 2012

l'albero della vita

"O Crux ave, spes unica", canta oggi la Chiesa celebrando la festa dell'Esaltazione della Santa Croce: salve o Croce, unica speranza!!!
Mi ha sempre sorpreso e meravigliato questo riferimento alla Croce di Cristo come unica speranza per l'uomo.
Perchè la croce è l'unica speranza? Mi sono chiesto spesso, senza riuscire a comprendere in profondità il mistero di un Dio che sceglie di salire sul patibolo più infamante e doloroso per amore del genere umano!
Poi un giorno ho letto queste parole: "come le colombe si nascondono nelle fenditure della roccia per trovare riparo quando arriva la tempesta, così anche noi dobbiamo rifugiarci nelle piaghe di Cristo crocifisso per trovare conforto nei momenti di prova; allora tutto acquisterà una luce nuova e nessun dolore ci sembrerà più insopportabile"!!!
Solo allora ho cominciato a capire.
Ho capito perchè quello che può apparire il segno di un fallimento umano agli occhi superficiali del mondo, "scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani" ancora oggi, può diventare il simbolo di un trionfo: un trono dal quale Cristo regna sugli uomini di buona volontà.
E si rivela ancora una volta paradossale la logica di Dio, che stravolge tutto l'ordine dei valori che guidano la nostra vita.
Un evento triste e tragico che qualsiasi famiglia umana avrebbe voluto presto dimenticare per non rivivere più le sofferenze che lo avevano accompagnato, viene celebrato invece solennemente da milioni di persone in tutto il mondo ancora oggi, dopo duemila anni.
E' per questo, e per mille altri motivi, che la Chiesa celebra oggi la festa dell'Esaltazione della Santa Croce, cantando: salve o Croce, unica speranza!!!


giovedì 6 settembre 2012

il cuore della legge

“Love is never easy. It’s short of the hope we have for happiness. Bright and sweet. Love is never easy street!” cantava Joni Mitchell in uno dei suoi dischi più suggestivi; tuttavia vale la pena investire le migliori energie e risorse in quest’impresa, poiché la vita non è altro che una scuola d’amore a cui nessuno può sottrarsi.
Quando parlo d’amore non posso fare a meno di pensare a quello che è stato il legame sentimentale vissuto dai miei genitori.
Il loro è stato senza dubbio un matrimonio d’amore, frutto di un sincero innamoramento tra due persone molto diverse per carattere e sensibilità.
Con il passare degli anni, tuttavia, il loro rapporto affettivo si è trasformato profondamente, dopo essere passato attraverso molte crisi non certo di poca rilevanza.
La regola aurea “Non litigare mai davanti ai figli” è molto difficile da osservare da parte di chiunque, ragion per cui non rimprovero ai miei genitori di non averla spesso tenuta in gran conto.
Non ricordo di averli mai visti darsi un bacio o abbracciarsi, o almeno scambiarsi quelle naturali tenerezze così frequenti tra gli innamorati.
Per mio padre manifestare apertamente i propri sentimenti era un segno di debolezza e così quando lo vidi per la prima volta piangere come un bambino rimasi scioccato e non riuscivo a credere ai miei occhi; l’occasione gli fu data da una diagnosi, per fortuna poi rivelatasi errata, di un possibile tumore al seno diagnosticato a mia sorella: fu allora che feci la scoperta, in maniera a dire il vero abbastanza traumatica, della ricchezza sentimentale di un uomo che era duro soltanto in apparenza, poiché in realtà era una persona in ansia per tutto ciò che riguardava la sua famiglia.
Nonostante i frequenti, e talvolta molto accesi, litigi cui mi toccava di assistere, non provo risentimento verso i miei genitori, anzi sono loro molto grato per essere rimasti insieme nonostante abbiano avuto mille motivi per separarsi: ho compreso che quello strappato con le lacrime e il sangue non è meno amore dello slancio dei sensi che caratterizza la giovane passione amorosa.
Ho capito, allora, le parole di Cristo sul cuore della legge: “amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutte le tue forze”. Vi siete mai chiesti perché il brano evangelico non si ferma al “cuore” ma va ben oltre? A pensarci bene sarebbe stato sufficiente dire “amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore” per dare l’idea della totalità che deve caratterizzare il nostro amore nei Suoi confronti.
Ed invece ci viene chiesto ben più del cuore, inteso come la sede dell’affettività sensibile.
E’ come se Cristo volesse dire a tutti gli uomini, ma in particolare agli sposi, “guardate che verrà un momento in cui il cuore non vi basterà più ed allora dovrete attingere a tutte le vostre facoltà per rimanere fedeli all’impegno che liberamente avete assunto”.
All’origine di molti fallimenti matrimoniali c’è questo malinteso di fondo: ci si illude di poter trovare la felicità perfetta in un rapporto che per natura non è in grado di dare che gioia umana più o meno duratura ma destinata in ogni caso a concludersi.
Questo equivoco può condurre a gravi conseguenze, poiché non c’è nulla di più distruttivo di un matrimonio tra persone che cercavano la felicità e si sono imbattute nel sacrificio che richiede lo sforzo di uscire da sé stessi per donarsi all’altro.

venerdì 31 agosto 2012

cominciare e ricominciare

questo è la vita dell'uomo sulla terra:
cominciare e ricominciare
ogni volta
daccapo
come se fosse la prima
siamo pronti???

giovedì 26 luglio 2012

la fortuna non esiste

tutto è regolato dalla Provvidenza amorosa di Dio.
Questo è quello che ho imparato negli ultimi dieci giorni trascorsi accanto a mia madre adagiata in un letto d'ospedale dopo una delicata operazione chirurgica.
Ho imparato anche che arriva un momento nella vita in cui il destino ti chiede di fare da madre a tua madre e da padre a tuo padre e ricolmarli di tutte le premure che hanno avuto per te da bambino.
Ed ho scoperto che rimboccarle le lenzuola, sbucciarle una mela e portarle alle labbra un cucchiaio di minestra mi ha fatto sentire più figlio e più mamma...

martedì 10 luglio 2012

alla ricerca del senso perduto

Nel 1938 le truppe di Hitler invadono l'Austria e la situazione della comunità ebraica ivi residente precipita.
Intere famiglie vengono deportate nei campi di concentramento.
Tra queste c'è una famiglia viennese nella quale è cresciuto un giovane e brillante psicologo: Victor Frankl.
Egli era stato il primo studioso a sperimentare una cura innovativa: la "Logoterapia", termine usato per la prima volta nel 1926.
Il trattamento con il paziente prevedeva il porre al centro dell'intervento le tematiche relative al senso della vita: l'agire umano deve essere guidato, secondo questa terapia, verso la ricerca del senso, della 'verità esistenziale' nelle sue diverse manifestazioni. Il disagio psichico, che si esprime attraverso le nevrosi, viene considerato come una caduta nel cammino della ricerca del significato, e la sofferenza individuale non come un sintomo, ma come un'azione che si inserisce nella dinamica delle decisioni spirituali da prendere nel corso della vita.
A tal proposito Frankl propone una nuova categoria diagnostica, chiamata 'noogenic neurosis', indicante una forma di nevrosi legata ad un vissuto di vuoto (vacuum) esistenziale.
Questa terapia comincia subito a riscuotere un grande successo, soprattutto tra i giovani, allo scopo di arginare il fenomeno dei suicidi, molto diffuso in quell'epoca a Vienna: di fatto già in quell'anno si registra una drastica riduzione del triste fenomeno nella capitale austriaca.
Ma la deportazione interrompe le terapie del giovane psicologo: egli trascorre tre anni della sua vita in quattro lager diversi: Theresienstadt, Auschwitz, Kaufering III e Türkheim.
Nel 1945 viene liberato dalle truppe statunitensi e rientra a Vienna, mentre i suoi familiari, a parte la sorella, non riescono a sopravvivere: suo padre muore a Theresienstadt, la madre e suo fratello ad Auschwitz, sua moglie (di appena venticinque anni) a Bergen-Belsen.
Dall'esperienza dei campi di concentramento nasce il libro "Uno psicologo nei lager" (Edizioni Ares, Milano 1998), destinato a diventare un best-seller mondiale.
Tra le tante considerazioni che Frankl matura nel periodo di prigionia c'è quella, sorprendente, secondo cui l'uomo è sempre capace di autoderminarsi, anche in condizioni estreme:
«Che cos'è, dunque, l'uomo? noi l'abbiamo conosciuto come forse nessun'altra generazione precedente; l'abbiamo conosciuto nel campo di concentramento, in un luogo dove veniva perduto tutto ciò che si possedeva: denaro potere, fama, felicità; un luogo dove restava non ciò che l'uomo può "avere", ma ciò che l'uomo deve essere; un luogo dove restava unicamente l'uomo nella sua essenza, consumato dal dolore e purificato dalla sofferenza. Cos'è, dunque, l'uomo? Domandiamocelo ancora. È un essere che decide sempre ciò che è. »
(Homo patiens. Soffrire con dignità)
A queste prime pubblicazioni succederanno svariate altre, che costituiranno le basi dell'analisi esistenziale e della logoterapia, quella che egli stesso definisce una "svolta copernicana", sia per ciò che concerne la psicoanalisi, che nella sua stessa vita: prendere consapevolezza di come la motivazione principale dell'uomo non sia il principio del piacere (Freud), né la volontà di potenza (Nietzsche), bensì la "volontà di significato", il desiderio di trovare un senso, uno scopo per la propria vita.
Ma c'è un motivo privilegiato grazie al quale Frankl ha "scelto" di sopravvivere durante la prigionia: l'amore per la moglie Tilly, come descrive stupendamente nel brano che segue
“Improvvisamente, ho di fronte l’immagine di mia moglie.
Mentre inciampiamo per chilometri, guardiamo la neve o scivoliamo su lastre ghiacciate, sempre sorreggendoci a vicenda, aiutandoci gli uni gli altri e trascinandoci avanti, nessuno parla più, ma sappiamo bene che in questi momenti ognuno di noi pensa a sua moglie.
Di tanto in tanto guardo il cielo, dove impallidiscono le stelle, o là, dove comincia l’alba, dietro una scura cortina di nubi: ma il mio spirito è ora tutto preso dalla figura che si racchiude nella mia fantasia straordinariamente accesa, e della quale non ho mai avuto sentore prima, nella vita normale.
Parlo con mia moglie. La sento rispondere, la vedo sorridere dolcemente, vedo il suo sguardo, e – corporeo o meno - il suo sguardo brilla più del sole che si leva in questo momento.
D’un tratto, un pensiero mi fa sussultare: per la prima volta nella mia vita, provo la verità di ciò che per molti pensatori è stato il culmine della saggezza, di ciò che molti poeti hanno cantato; sperimento in me la verità che l’amore è, in un certo senso, il punto finale, il più alto, al quale l’essere umano possa innalzarsi.
Comprendo ora il senso del segreto più sublime che la poesia, il pensiero umano ed anche la fede possono offrire: la salvezza delle creature attraverso l’amore e nell’amore! Capisco che l’uomo, anche quando non gli resta niente in questo mondo, può sperimentare la beatitudine suprema – sia pure solo per qualche attimo – nella contemplazione interiore dell’essere amato. Nella situazione esterna più misera che si possa immaginare, nella condizione di non potersi esprimere attraverso l’azione, quando la sola cosa che si possa fare è sopportare il dolore con dignità, ebbene, anche allora, l’uomo può realizzarsi in una contemplazione amorosa, nella contemplazione dell’immagine spirituale della persona amata, che porta in sé.
Per la prima volta nella mia vita, sono in grado di capire ciò che si intende, quando si dice: gli angeli sono beati nell’infinita, amorevole contemplazione di uno splendore infinito…
Davanti a me cade un compagno; quelli che gli marciano dietro, cadono anche loro. La sentinella accorre e li bastona senza pietà. La mia vita contemplativa è interrotta per qualche secondo, ma subito dopo la mia anima si innalza, si eleva nuovamente dalla mia esistenza di internato ad un mondo sovrumano e riprende il dialogo con l’essere amato”.

domenica 1 luglio 2012

angeli custodi

Da bambino avevo paura del buio e quando arrivò il momento di andare a dormire da solo cominciarono gli incubi notturni.
Ricordo che ogni volta che arrivava il momento di andare a letto mi prendeva un’angoscia simile a quella di un condannato a morte condotto al supplizio.
Spesso non riuscivo a chiudere occhio per gran parte della notte ed allora cercavo di immaginare che il mio letto fosse protetto da una campana di vetro su cui vegliavano gli angeli, impedendo ai mostri dell’oscurità di farmi del male.
Rimpiangevo in quelle ore penose persino l’odiata scuola e la severa maestra, la quale in quel periodo si era proposta l’ambizioso obiettivo di insegnarmi a scrivere con la mano destra, come facevano tutti i bambini.
Non riuscivo a capire perché lo scrivere con la mano sinistra era considerato dal sentire comune come un male morale: la cosa importante era imparare a scrivere, mi dicevo, che poi a scrivere fosse la sinistra anziché la destra, che differenza faceva?
Dopo diversi tentativi infrantisi contro il muro della mia ostinazione, anche la maestra desistette ed io continuai a scrivere con la sinistra senza particolari ricadute esistenziali.
La lotta contro la paura del buio, e di tutto ciò che questo rappresentava nell’immaginario di un bambino, fu però molto più difficile da vincere.
Dopo centinaia di ore insonni finalmente un giorno mi accorsi che non avevo più paura di niente e di nessuno; scoprii di aver maturato un coraggio a prova di bomba, ma non sapevo ancora quanto questa conquista avrebbe messo ripetutamente a rischio la mia vita.
Da giovani, infatti, il coraggio rischia talvolta di sfociare nella temerarietà o, peggio, nell’incoscienza del pericolo.
Quando raggiunsi i 14 anni mio padre ebbe l’infelice idea di comprarmi una vespa 125 sulla quale diventai presto uno dei principali pericoli pubblici del paese (per la verità, già in bici avevo rischiato di accoppare una signora incinta che camminava tranquillamente sul marciapiede) costringendo il Padreterno a mettermi alle costole un plotone di angeli custodi in assetto da guerra per cercare di arginare i guai che combinavo ogni giorno.
Ben presto mio padre si rese conto che sulla vespa non sarei vissuto ancora a lungo ed allora decise sapientemente di venderla; tuttavia, per non farmi morire d’inedia, cominciò a farmi guidare la macchina (considerata meno pericolosa) e così mi ritrovai a 16 anni a sperimentare l’ebbrezza delle 4 ruote.
Cominciai ad acquisire subito grande dimestichezza con l’automobile, scoprendo ben presto che non c’è nulla di più pericoloso nella guida che l’eccesso di sicurezza.
Dopo alcuni anni di esperienza, ad ormai patente acquisita, ho compreso che se c’è la striscia continua su alcuni tratti di strada, diavolo, un motivo ci sarà anche!
Nel mio caso il pericolo non era rappresentato tanto dall’imprudenza quanto dall’impazienza: la stragrande maggioranza di incidenti, talvolta mortali, è causata dall’ansia di superare i veicoli lenti che ti trovi davanti.
Quando comprendi che avrai sempre un veicolo lento davanti, e che se anche lo superi, prima o poi ne troverai un altro ed un altro ancora, allora ti dai una calmata e ti accorgi che non succede niente se arrivi dieci minuti più tardi.
Se ripenso a tutte le volte in cui gli angeli custodi mi hanno aiutato ad uscire indenne da situazioni difficili non posso far altro che riconoscere come senza di loro sarei già da un pezzo sotto diversi strati di terra.
Oggi che sono una persona matura (???) ed equilibrata (?!?!?!?) ci tenevo a ringraziarli pubblicamente!!!

giovedì 21 giugno 2012

Il libro della cosa importante

Sarà perchè le sue illustrazioni sono capaci di intenerire sempre il mio cuore;
sarà perchè possiede la qualità, rara tra gli artisti, di esprimere verità profonde in maniera semplice e poetica;
sarà perchè dall'espressione dei passerotti che disegna emerge tutta la gentilezza della sua anima generosa e nobile;
sarà perchè la sua bravura risplende ancora di più grazie all'umiltà che traspare da ogni cosa che fa e che dice,
fatto sta che quando ho avuto tra le mani il suo libro, la sensazione che ho provato sfogliandolo è stata quella di avere tra le mani un regalo prezioso e unico.
Lei si chiama Cristina Berardi ed è una di quelle pietre preziose che ho incontrato aprendo questo blog.
Ha appena pubblicato un libro dal titolo insolito ed intrigante: "Il libro della cosa importante".
E che cos'è questa cosa importante che Cristina cerca di descrivere attraverso illustrazioni e parole semplici e profonde?
Forse potete scoprirlo da soli visitando il suo blog:  eccolo, sono sicuro che non ve ne pentirete!!! 


venerdì 15 giugno 2012

Quadri di vita

Qualche anno fa, sfogliando una rivista, rimasi colpito da un articolo riguardante un pittore bosniaco a me sconosciuto: Safet Zec.
Mi impressionò il realismo con cui riusciva a tradurre in immagini la vita quotidiana del suo popolo, segnato dalla guerra e dalla povertà.
Avevo conservato quella rivista cercando di non dimenticare il nome di quel pittore: chissà che un giorno non avrebbe allestito una mostra nel nostro paese.
Con il passare del tempo, però, me ne ero completamente dimenticato, fino a ieri, quando una carissima amica mi ha mandato un suo articolo, scritto per una rivista telematica; l'articolo è questo e parla proprio di una mostra allestita in questo periodo a Milano da Safet Zec.
Quando si dice: affinità elettive!!!
L'articolo è molto bello e vi consiglio vivamente di leggerlo.
La mostra è allestita alla Rotonda di via Besana sino al 13 luglio e vi consiglio di visitarla, cosa che cercherò di fare anch'io appena possibile.
I quadri di Zec potete pregustarli in questo video.
Buona visione




lunedì 11 giugno 2012

parole che fanno bene

"...prigionieri col terrore di essere liberati, di essere liberiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii"...

lunedì 4 giugno 2012

unici ed insostituibili

"Il cimitero è pieno di persone insostituibili" mi disse il prof di matematica quando gli chiesi se avrebbe sentito la nostra mancanza dopo l'esame di maturità; sul momento provai un forte desiderio di mandarlo affanculo, ma poi non ho più dimenticato quella frase.
Me l'ha fatta ricordare Rugoletta col suo post come tutti nel quale giunge alla conclusione che la sua vita, pur con tutte le singolarità che l'hanno caratterizzata, forse non è stata diversa da quella di tanti altri.
Io credo che alla stessa conclusione potrebbe giungere ciascuno di noi, anche se è altrettanto vero che la vita di ogni uomo è unica ed irripetibile.
Ne avevo accennato qualcosa in solo una grande speranza dicendo che ogni persona è unica ed irripetibile, ed ha una singolarissima missione da compiere: nessun uomo viene all'esistenza per caso; egli è sempre il termine dell'amore creativo di Dio e questa verità illumina un'esperienza fondamentale per ogni uomo: la coscienza della propria dignità, il suo essere per tutta l'eternità come qualcuno davanti a Dio e per sempre e la necessità di essere amato per sé stesso, altrimenti si considera sventurato.
Qualcuno davanti a Dio per sempre...

lunedì 28 maggio 2012

fondata sulla roccia

Secondo fonti giornalistiche autorevoli pare che tra le Mura leonine, di questi tempi, sia citatissimo l'aneddoto attribuito al cardinale Ercole Consalvi, grande segretario di Stato di Pio VII, in risposta a Napoleone che minacciava di distruggere la Chiesa:
«Non ci riuscirà, maestà.
Non ci siamo riusciti neanche noi».

venerdì 18 maggio 2012

tutte le cose belle nascono a maggio...

Io sono nessuno
tu chi sei?
Nessuno
anche tu?
Allora siamo in due
Non dirlo a nessuno
spargerebbero la voce

Noi siamo il fiore
Tu sei il sole
Perdonaci
se quando il giorno muore
ci avviciniamo di nascosto a Te
innamorati del tramonto che svanisce

E. Dickinson

venerdì 11 maggio 2012

custodire il cuore

Il sesso per il sesso è il più grande inganno della società contemporanea.
Milioni di persone vengono nutrite con la speranza effimera di un mondo che esiste soltanto nelle riviste patinate ed in una televisione sempre più becera e volgare, e da nessun altra parte.
Non c’è niente di più alienante per un essere umano che utilizzare le proprie facoltà sessuali non come un mezzo ma come il fine principale delle proprie relazioni interpersonali.
Per colpa di quest’inganno molte famiglie si sfasciano, molti figli si perdono, molti crimini si commettono, innumerevoli omicidi si consumano.
L’impurità impedisce di vedere nell’altro una persona, e conduce a considerare gli uomini e le donne soltanto meri oggetti di piacere, strumenti usa e getta di effimera soddisfazione sensuale.
Per non cadere nella trappola o per riuscire ad uscirne, allora, occorre cominciare a conoscersi in profondità ed imparare a custodire il cuore per un amore puro.
La posta in gioco è molto alta poiché se non possediamo prima noi stessi non potremo mai donarci agli altri e la nostra vita diventerà allora completamente inutile e vuota.
Custodire il cuore per un amore puro vuol dire decidere noi cosa entra e cosa non entra nel nostro cuore attraverso gli occhi, i pensieri, l’immaginazione e le parole; significa smettere di essere meri fruitori passivi di tutto ciò che la società contemporanea ci propina.
Rimasi molto colpito una volta in cui mi azzardai a parlare della necessità della custodia del cuore ad un collega che pur conoscevo come non lontano dalla pratica religiosa.
Reagì in una maniera che non mi sarei mai aspettato: si infervorò in modo del tutto spropositato per cercare di dimostrarmi che gli esseri umani non possono in alcun modo sottrarsi a certe pulsioni sessuali, con l’inevitabile conseguenza che ogni tentativo compiuto per tenere a bada certe euforie dei sensi sarebbe destinato al fallimento.
Mi stupì enormemente scoprire come una pratica che io sperimentavo quotidianamente con successo potesse riuscire addirittura inconcepibile per altre persone pur virtuose ed animate da buona volontà.
Mi resi conto, allora, che quando non si riesce più ad esercitare una virtù, si finisce prima o poi per convincersi che praticare quella virtù è impossibile!
Eppure basterebbe semplicemente chiedere aiuto a chi ha più esperienza per scoprire che gli strumenti per funzionare bene esistono, c’è bisogno soltanto di usarli: l’uomo è capace di dominare sé stesso, basta leggere le istruzioni per l’uso lasciate scritte dal produttore.

domenica 6 maggio 2012

l'eresia dell'amore

Oggi viviamo in un’eresia dell’amore.
Il primato dell’amore, primo precetto cristiano, nell'epoca contemporanea è stato equivocato: purché sia amore, tutto è legittimo.
Se una donna si innamora di un boa constrictor e desidera sposarlo, fa bene, perché è amore.
Nel nome dell’amore, si perde così di vista l’oggettività dell’amore.
Perché amare non è semplicemente avere dei sentimenti per l’altro, è anche volere il bene dell’altro.
Quando amo io debbo chiedermi: “Qual è il bene per la persona che amo?”.
Questo è ciò che conta di più.

Fabrice Hadjadj

martedì 1 maggio 2012

la cosa più difficile

Uno dei tanti motivi di gratitudine nei confronti dei miei genitori è quello di avermi lasciato libero di compiere in maniera autonoma e responsabile le scelte più importanti della mia vita.
Non si sono mai sostituiti a me nelle decisioni che mi riguardavano e, così, mi hanno insegnato a camminare con le mie gambe. Certo io sapevo esattamente quale fosse la loro opinione sulle cose che mi riguardavano: amicizie, impegno nello studio, gestione del tempo libero ecc.; tuttavia, non mi hanno mai fatto pesare più del dovuto i loro giudizi al momento di compiere le scelte fondamentali per la mia esistenza.
Questa è una cosa che ho capito molto tempo dopo, quando, chiamato a compiere delle scelte molto impegnative, ho sempre agito con grande libertà e responsabilità, e ciò lo devo al rispetto che i miei genitori hanno sempre dimostrato verso ogni mia scelta, giusta o sbagliata che fosse.
Mi sono accorto di quanto fosse importante questa libertà di scelta quando, nel corso della mia vita, ho incontrato persone, purtroppo sempre più numerose, che erano praticamente incapaci di compiere la scelta più elementare, così da rimanere addirittura paralizzati di fronte a scelte più impegnative come il matrimonio, un cambiamento di lavoro, un trasferimento di città ecc., e questo forse proprio perché i loro genitori avevano sempre deciso al loro posto, impedendo ai loro figli di acquisire la cosa più importante per la loro vita: la capacità di compiere scelte libere e responsabili.
Ciò non vuol dire che i genitori non debbano esprimere la loro opinione, devono farlo, eccome; è importante per un figlio conoscere l’opinione dei genitori, per non sbagliare. Tuttavia egli deve essere lasciato libero anche di sbagliare, altrimenti non riuscirà mai a formarsi una capacità di giudizio autonoma.
A parole sembra tutto molto facile e logico: in realtà lasciare libere le persone che amiamo anche di sbagliare è forse la cosa più difficile del mondo!!!

giovedì 19 aprile 2012

io bacio ancora le ferite

"Il fatto è che per noi donne lo sguardo dell’altro è tremendamente importante, e perderlo incredibilmente devastante. Questa fragilità, minata dal peccato originale, può indurci a essere dipendenti, a svenderci, a perderci. Può farci essere gelose di tutte le altre femmine che si aggirano nel nostro campo di azione, competitive, perfide, invidiose. Se tentiamo di rispondere con le sole nostre forze al bisogno di pienezza non ci riusciremo mai.

Ma questa fragilità può anche essere una grazia. E’ segno della nostra chiamata ineludibile all’amore, il vuoto di cui è eco è un vuoto che ci fa pronte ad accogliere. La donna, il cui modello è Maria, è la prima a dire eccomi, la prima a correre al sepolcro, la prima a bagnare di lacrime i piedi del Signore. L’importante è sapere che non c’è uomo al mondo che possa colmare questo vuoto."

(costanzamiriano@wordpress.com)

domenica 1 aprile 2012

un puledro d'asina

Pensate un po’ alle caratteristiche di un somaro, ora che ne restano così pochi. Non pensate all'animale vecchio e cocciuto, che sfoga i suoi rancori tirando calci a tradimento, ma all'asinello giovane, dalle orecchie tese come antenne, austero nel cibo, tenace nel lavoro, che trotta lieto e sicuro.
Vi sono centinaia di animali più belli, più abili, più imponenti.
Ma Cristo, per presentarsi come re al popolo che lo acclamava, ha scelto lui.
Perché Gesù non sa che farsene dell'astuzia calcolatrice, della crudeltà dei cuori aridi, della bellezza appariscente ma vuota.
Il Signore apprezza la gioia di un cuore giovane, il passo semplice, la voce non manierata, gli occhi limpidi, l'orecchio attento alla sua parola d'amore. Così regna nell'anima.
Se Gesù, per regnare nella mia, nella tua anima, ponesse come condizione di trovare in noi un luogo perfetto, avremmo buon motivo per disperarci.
E invece, non temere, figlia di Sion! Ecco, il tuo Re viene, seduto sopra un puledro d'asina (Gv 12, 15).
Vedete? Gesù accetta di avere per trono un povero animale.
Non so se capita anche a voi, ma io non mi sento umiliato nel riconoscermi dinanzi al Signore come un somarello: Sono come un somarello di fronte a te, ma sono sempre con te, perché tu mi hai preso con la tua destra (cfr Sal 72, 22-23), tu mi conduci per la cavezza.

Josemaria Escrivà: es Cristo che pasa, n. 181

lunedì 26 marzo 2012

Annunziata

Oggi ricorre l'onomastico del mio cognome.
In realtà l'Annunziata si festeggia il 25 marzo ma, siccome quest'anno cadeva di domenica, la festa è stata spostata ad oggi.Vi ho già parlato del particolare feeling che mi lega a Maria (l'espressione del viso).
La parola Annunziata, però, mi ricorda anche i primi anni di scuola, quando la maestra scorrendo il registro la pronunciava prima di sottopormi a prove spesso superiori alle mie forze.
La scuola è sempre stata un grande veicolo per guardarsi dentro, grazie allo spietato confronto con gli altri che ti costringe ad affrontare. Per la mia vita, in particolare, sono stati fondamentali gli anni della scuola elementare. Posso dire, senza timore di sbagliare, che sono arrivato a laurearmi vivendo di rendita, grazie al capitale di studio e sofferenza accumulati durante i cinque indimenticabili anni della mia scuola elementare.
La nostra maestra era una donna all’antica, devota e severissima; aveva donato le migliori energie della sua vita all’insegnamento ed i risultati erano davanti agli occhi di tutti: le famiglie del paese facevano a gara per iscrivere i loro figli nella sua prima classe. I ragazzi che avevano fatto le elementari con lei, infatti, una volta arrivati alle medie si trovavano ad essere una spanna sopra gli altri in tutte le materie: ci si arrivava, tuttavia, solo alla fine di un percorso estremamente formativo e molto doloroso. Non lasciava nulla al caso o, peggio, all’improvvisazione; aveva coraggio nella sperimentazione di nuovi metodi di apprendimento ed era molto esigente con i suoi alunni. Non si ammalava praticamente mai ed in cinque anni ci avrà portati soltanto una o due volte in palestra, e non certo per esercizi ginnici ma semplicemente perché non era riuscita a sottrarci alla tradizionale foto di classe.
Quell’anno la prima elementare era piena di bambini che “promettevano” grandi cose per il futuro e, pertanto, le comari del paese impiegavano parte non marginale del loro prezioso tempo per stabilire chi sarebbe stato il “campione”.
In questa inevitabile competizione io partii decisamente svantaggiato.Ero di una timidezza ai limiti del patologico. Arrossivo come un peperone appena mi trovavo al centro dell’attenzione generale, cosa che avveniva spesso a motivo della mia statura, insolitamente alta per l’età, per cui la maestra mi costringeva ad alzarmi in piedi appena entrava in classe un ospite cui poter mostrare la “bestia rara”. Il fatto di essere così timido, inoltre, mi conduceva a chiudermi in me stesso e sperimentare una grande difficoltà nella manifestazione dei miei sentimenti. Come se non bastasse, poi, ero anche affetto da una leggera forma di balbuzie, circostanza che generava l’ilarità generale ogni volta che aprivo bocca.
Il risultato era a prima vista sconcertante: ero un bambino insolitamente taciturno per l’età che avevo e manifestavo grandi difficoltà di relazione con il mondo circostante. Anche la maestra, infatti, cominciò ad avanzare qualche dubbio sulla mia sanità mentale, circostanza che dovette allarmare non poco i miei genitori considerato che tra i molti esami cui mi sottoposero ci fu anche qualche visita psichiatrica: quanto li ho fatti soffrire.
Per fortuna non emerse alcuna patologia invalidante, forse con la crescita avrei risolto da solo i problemi relazionali che mi attanagliavano. La cosa che mi pesava di più, comunque, era l’impossibilità di esprimere il mio mondo interiore: ero incapace di manifestare la mia affettività; mi riusciva difficile persino piangere, cosa insolita per un bambino di prima elementare: nei cinque anni del primo ciclo scolastico non ricordo di aver mai pianto. Anche il rendimento scolastico risentiva di questo mio stato d’animo, con particolare riferimento ai componimenti d’italiano, dai quali risultava in maniera più evidente l’assenza di riflessioni personali e di spunti originali.
Questa penosa situazione continuò fino alla terza elementare senza sostanziali cambiamenti quando, un giorno, accadde un fatto che avrebbe determinato una svolta importante nella mia crescita interiore.
Mio padre mi si presentò con un libro in mano chiedendomi se avevo voglia di leggerlo: il libro era “I ragazzi della via Paal”. Fu probabilmente il primo libro di narrativa che lessi, e ben presto si rivelò il libro giusto al momento giusto, perché forse stavo attraversando una fase in cui non avevo bisogno d’altro che di un po’ di buoni sentimenti.
L’effetto che quel libro produsse in me fu sorprendente anche per gli altri, in primis per la mia maestra.
Fu come se una cisterna d’acqua fresca e zampillante venisse improvvisamente aperta nel bel mezzo di un deserto. Ero in terza elementare ed alla prima occasione, il tema d’italiano, inondai la carta di tutte le emozioni che la lettura del libro mi aveva suscitato: la maestra rimase senza fiato; l’iniziale diffidenza si trasformò quasi in innamoramento.
Cominciai a riversare tutta la mia interiorità, troppo a lungo rimasta inespressa, sulle pagine bianche dei componimenti in classe, e quello che a me sembrava una naturale manifestazione dei miei sentimenti, lasciava sbalorditi tutti gli altri. Non capivo, infatti, perché la gente si stupisse leggendo le cose che scrivevo.
Una volta la maestra ci diede da scrivere un componimento a tema libero ed io scelsi per titolo “La libertà”, volendo esprimere il desiderio innato dell’uomo di realizzare sé stesso. Apriti cielo; semplicemente la scelta del titolo fu giudicata come un evento sensazionale da tutto il personale scolastico, ed anche mia madre vedeva così risorgere il sogno, da lungo tempo accarezzato, che proprio suo figlio diventasse “il campione”. Non mi sono sentito mai a mio agio nei panni del campione e, ben presto, cominciai ad avvertire su di me troppe aspettative, con la conseguenza che l’inevitabile delusione non tardò ad arrivare.
Proprio quando stavo cominciando ad acquisire un po’ di sicurezza nei miei mezzi, infatti, arrivò l’esame di quinta elementare. Pensavo che la maestra mi avrebbe fatto domande facili, forte delle simpatie che ormai nutriva nei miei confronti.
Mi sbagliavo di grosso. Non bisogna mai confondere una maestra all’antica con una mamma; la prima domanda mi lasciò completamente spiazzato: “che cosa sono i terrazzamenti”? Rimasi di stucco: era la prima volta che sentivo pronunciare quella parola e non avevo la minima idea di cosa significasse.
La maestra rimase anch’essa sorpresa ed impiegò parecchi minuti per cercare di farmi tirare fuori la risposta, ma fu tutto inutile. Ignoravo cosa diavolo fossero i terrazzamenti e nessun indizio mi aiutò nella ricerca della risposta. L’esame si concluse nella delusione generale e, nonostante fossi stato comunque promosso al secondo ciclo di studi, purtroppo, o per fortuna, non riuscii a conseguire il titolo di campione.

martedì 20 marzo 2012

Proust, Coelho e San Giuseppe

Domenica pomeriggio ho, mio malgrado, ascoltato una conferenza su Proust, e precisamente sul concetto di tempo nelle opere dello scrittore francese.
Due palle mostruose.
Non erano il tema del convegno o gli argomenti dibattuti che sono risultati profondamente noiosi: è proprio Proust che è di una noia mortale.
Il giorno dopo, cioè ieri, ho festeggiato il mio santo preferito: Giuseppe; persona seria, di poche parole e molti fatti.
Il giorno dopo ancora, cioè oggi, leggo sul giornale la seguente notizia:
"al Castello Superiore di Marostica, nel vicentino, Coelho ha organizzato il suo venticinquesimo party in onore di san Giuseppe, al quale era intitolata la clinica dove lui nacque quasi morto, col cordone ombelicale intorno al collo, «salvo solo per l’intercessione del santo». Dunque ogni anno tutto deve ripartire da qui: dalla preghiera per san Giuseppe, che a Marostica viene pronunciata in una dozzina di lingue (dal portoghese al giapponese al norvegese). In conferenza stampa ha risposto, a suo modo, alle domande. Sul viaggio e sui diversi modi di viaggiare, per esempio. Due tipologie di viaggiatori, come due tipologie di scrittori: Joyce e Proust scrivono guardandosi dentro; Hemingway o Baudelaire per scrivere hanno bisogno invece di esperienze, di viaggiare fuori da se stessi. Lui, Coelho, dice, di appartenere alla seconda specie: per avere materia di scrittura deve accumulare esperienze; e allo stesso modo coi viaggi: non gli basta l’interiorità, se non c’è movimento. Anche se poi, conciliando il dualismo, conclude: «Il mio viaggio esteriore è sempre proiettato nel mio viaggio interiore »".
Che sfiga, mi toccherà rivalutare anche Coelho adesso...

giovedì 15 marzo 2012

nella vasca da bagno del tempo

Ieri pomeriggio viaggiavo in treno ascoltando un pò di musica alla radio.
Ad un certo punto mi imbatto in un programma di radio 1 in cui intervistano e fanno cantare dal vivo una giovanissima cantautrice: Erica Mou.
Premetto che, non avendo visto ne sentito l'ultimo Sanremo, prima d'ora non sospettavo nemmeno l'esistenza di questa ragazza.
Ebbene, sono rimasto folgorato.
Come raramente mi capita alla fine ero letteralmente conquistato dalla sua bravura, ed ancor più dalla sua simpatia.
Ha soltanto ventun anni e si intitola semplicemente "È" il suo album d'esordio, uscito l'8 marzo su etichetta Sugar e prodotto dall'islandese Valgeir Sigurðsson (già Bjork, Sigur Ros).
E' nata una stella???

sabato 10 marzo 2012

Transgender

Come era prevedibile il post precedente, ed i relativi commenti,  hanno sollevato molte questioni che vale la pena approfondire ulteriormente.
Lasciando perdere l'Annunziata, rileva saggiamente Donatella, il problema è: si può essere omosessuali e cattolici allo stesso tempo???
La risposta sembra essere affermativa, alla luce del punto 2358 del Catechismo, il quale testualmente recita:
"Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione".
Ci sono, dunque, persone che pur avvertendo in se' queste tendenze riconoscono in esse un principio di disordine che se assecondato può condurre ad una degenerazione della natura umana.
Queste persone, pertanto, cercano di contrastare tali inclinazioni disordinate e le combattono, riportando vittorie e sconfitte, come è umano che sia.
Nei confronti di queste persone la Chiesa, come abbiamo visto, manifesta "rispetto, compassione, delicatezza".
Ci sono poi altre persone che, viceversa, non riconoscono in queste inclinazioni niente di disordinato o contro natura e rivendicano la libertà di assecondare queste tendenze come gli pare e piace, facendone una battaglia di emancipazione della quale essere orgogliosi.
Ma davvero di emancipazione si tratta?
Già in passato ho cercato di spiegare il delicato rapporto che deve necessariamente intercorrere tra libertà e verità (l'amore si nutre di libertà), e la domanda che mi pongo è: corrisponde realmente alla verità naturale sull'uomo e sulla donna assecondare inclinazioni affettive o sessuali verso persone dello stesso sesso?
Qualcuno potrebbe rispondere dicendo che per lui la verità è che sente dentro di se' una inclinazione verso persone dello stesso sesso; qualche altro, però, potrebbe tranquillamente affermare che prova attrazione verso il proprio figlio, o verso suo padre o sua madre, o verso suo fratello o sua sorella, o verso la moglie del suo migliore amico, o verso il proprio insegnante o l'allieva e così si potrebbe andare avanti all'infinito.
Perchè tutte queste persone non dovrebbero avere la stessa libertà di "amarsi" che rivendicano gli omosessuali?
A me pare che tutte queste situazioni siano caratterizzate da un principio di disordine che si pone contro natura, anzi forse l'ultima molto più delle altre, e allora perchè soltanto agli omosessuali si dovrebbe riconoscere la libertà di fare quello che vogliono ed agli altri no?
O la natura c'è e và rispettata sempre e comunque o tutto diventa lecito, senza più nessun punto di riferimento che ci possa dire cosa è bene e cosa è male.
E' per questo che la Chiesa non può giustificare la pratica dell'omosessualità, e ciò non perchè vuole discriminare queste persone; semplicemente perchè vuole aiutarle a difendere la loro dignità di esseri umani. 

mercoledì 7 marzo 2012

Sciacalli

Premetto che Lucia Annunziata, per fortuna, non è neanche lontanamente mia parente, nonostante il nome quasi simile ed il cognome identico.
Per fortuna, perchè è antipatica, presuntuosa e anche brutta: nella mia famiglia invece siamo tutti simpatici, umili e anche belli.
Questa pseudo-giornalista qualche settimana fa è stata attaccata (e giustamente) da alcune associazioni che rappresentano i gay italiani perchè aveva detto, a proposito delle polemiche suscitate dal festival di Sanremo, che lei avrebbe difeso Celentano anche se costui avesse voluto mandare tutti i gay nei campi di concentramento.
Il giorno dopo sui giornali ha cercato di rimediare con scemenze del tipo: non era mia intenzione; sono stata fraintesa ecc., nonostante fosse molto difficile davvero fraintendere una esternazione così chiara.
Ma, come i più sapranno, una giornalista di sinistra non può (per statuto) inimicarsi la lobby degli omosessuali; per cui la nostra bella giornalista (più bella che intelligente, in verità) ha scelto il momento meno opportuno di tutti per riparare: la morte di Lucio Dalla.
Quando il corpo del grande artista era ancora caldo, infatti, l'eroina dell'informazione ha gridato allo scandalo, denunciando l'ipocrisia della Chiesa che ha fatto passare sotto silenzio la presunta omosessualità del medesimo, assicurandogli un funerale cattolico con tutti i crismi.
Ovviamente le associazioni gay vi si sono buttate a pesce, con dichiarazioni del tipo: questa volta l'Annunziata ha proprio ragione!!!
E invece no, purtroppo, ha torto anche stavolta.
Ammesso e non concesso che Dalla avesse tendenze e comportamenti omosessuali, infatti, è indubitabile come per tutta la vita egli abbia scelto, con libertà e responsabilità personale evidentemente, di tenere questa inclinazione riservata alla sua sfera intima e privata.
Per cui se davvero questi sciacalli avessero voluto rispettare la volontà del defunto, avrebbero dovuto continuare a tenere la notizia riservata.
E invece hanno approfittato del momento in cui Lucio non avrebbe potuto più difendersi per sbandierare appartenenze che forse meritavano solo silenzio e rispetto.
Vi lascio con una sua canzone che parla di futuro e di figli...

domenica 4 marzo 2012

il profeta senza pazienza

L'autorevolezza di un profeta sta proprio nel fatto che gli eventi che ha predetto poi realmente si verifichino:
nel caso di Giona questo invece non accade ed egli si viene a trovare nella situazione davvero paradossale di preferire la morte di migliaia di persone pur di salvare a tutti i costi la faccia, mentre Dio cerca di convincerlo della insensatezza del suo comportamento.
Il libro di Giona è a mio giudizio uno dei più interessanti e "contemporanei" della Bibbia.
Ritengo, infatti, che nessuno più di Giona possa incarnare meglio la mentalità dell'uomo moderno, con la sua paura di dare la faccia per un ideale grande e rischiare così di compromettere l'apparente rispettabilità della sua immagine esteriore, di perdere il consenso della gente e pregiudicare quel simulacro di onorabilità che, con fatica, ha cercato di costruirsi nel tempo.
Non è il caso di raccontare qui tutta la sua storia, anche perchè forse molti di voi già la conoscono: chi non la conoscesse può andare a cercare nella Bibbia questo brevissimo capitolo (appena due pagine; si trova anche in internet facilmente) perchè ne vale veramente la pena secondo me.
Il libro è tutto pervaso da senso del paradosso davvero singolare, che produce un effetto di grande ironia su tutta la storia, a tratti persino divertente.
Io penso che ogn'uno di noi abbia dentro di se qualcosa di Giona

domenica 26 febbraio 2012

nuda

Sarà questa timidezza che da sempre mi ha scelto come compagno.
Sarà il senso del pudore che mi impedisce di rivelare l'intimità della mia anima a determinate persone.
Sarà semplicemente il desiderio di non dover spiegare tante, troppe cose a chi non è ancora capace di sopportarne il peso.
Fatto sta che quando mia mamma mi ha chiesto l'indirizzo di questo blog non ho avuto il coraggio di darglielo.
Sin dall'inizio ho scelto di svelare completamente, o quasi, la mia anima in questo luogo virtuale.
Per quanto mi fosse possibile.
Per questo ho cercato di indirizzare i miei pensieri a persone che non mi conoscevano nella realtà.
Ho trovato persone di grande sensibilità che mi hanno compreso e dimostrato il loro affetto anche quando non comprendevano.
La mia anima si mostra nuda in questa casa e quelli che la frequentano ormai sanno quasi tutto di me anche senza avermi mai visto.
Ma come faccio a far leggere a mia mamma post come il chicco di grano?
Potrebbe morire sul colpo.
E le arrecherebbe grande dolore anche leggere nostalgia perchè non è ancora pronta per portarne il peso.
Anche certe persone che mi conoscono nella realtà, o credono di conoscermi, subirebbero un trauma davanti alla mia anima nuda: è forse il loro dolore che non riesco a sopportare?
O forse è solo senso del pudore?

sabato 18 febbraio 2012

gli esami non finiscono mai

Le riflessioni sulle differenze tra nord e sud che tanto impazzano in questi giorni al cinema e in televisione mi hanno fatto pensare a quale sia davvero il nocciolo della questione.
Nell’ultima commedia scritta da Eduardo, “Gli esami non finiscono mai”, senz’altro una delle più amare del repertorio del grande autore, ad un certo punto si assiste al dialogo tra i due principali personaggi femminili: Gigliola e Bonaria, rispettivamente moglie ed amante di Guglielmo, protagonista del racconto.
Bonaria, forse per giustificare l’immoralità della sua situazione, racconta l’infanzia difficile che ha vissuto nella famiglia di origine, immersa in una povertà materiale e morale davvero desolante, e descrive a Gigliola, signora dell’alta borghesia napoletana, come la madre la costringesse sin da bambina a sottostare alle attenzioni morbose dei suoi “amici” occasionali.
Alla fine del racconto, Bonaria, per sottolineare la differenza abissale che separa il mondo da cui ella proviene da quello, ben più rassicurante, di provenienza della rivale Gigliola, utilizza un’espressione che sintetizza in maniera geniale lo spirito di un intero popolo: “Quelli come voi sanno quello che vogliono; noi sappiamo soltanto quello che non vogliamo”.
Lo stato di necessità che ha caratterizzato per secoli la vita del popolo meridionale ha impresso nella mentalità della gente la spiccata propensione a procurare che la giornata di oggi sia migliore di quella di ieri, ma gli ha impedito di guardare più in là delle 24 ore.
In altre parole, si potrebbe esprimere meglio il concetto dicendo che noi “terroni” non siamo capaci di progettare il futuro perché troppo impegnati a sopravvivere nel presente.
Questo retaggio culturale ce lo trasciniamo dietro ancora oggi, nonostante siano mutate le condizioni storiche ed in parte anche quelle economiche nelle quali è maturato.
Tale mentalità presenta indubbiamente aspetti positivi e negativi allo stesso tempo.
Evitando inutili generalizzazioni che potrebbero essere smentite da svariate eccezioni, si può dire che gli aspetti negativi della “mentalità da sopravvivenza” possono intravedersi nella più o meno accentuata incapacità di perseguire obiettivi di medio e lungo periodo: siamo capaci soltanto di pianificare il raggiungimento di obiettivi di breve scadenza.
Sin da ragazzo non ho mai saputo cosa avrei fatto da grande; certo, avvertivo alcune inclinazioni caratteriali e, soprattutto, incontravo difficoltà e ostacoli, che mi hanno indirizzato verso un certo tipo di studi anzicché altri, ma da qui a comprendere o, meglio, pianificare il mio futuro professionale ce ne correva.
Quando ero al liceo l’unico mio obiettivo era conseguire il diploma ed uscire indenne da un ciclo di studi molto impegnativo.
Una volta all’università l’unica mia preoccupazione era quella di laurearmi più o meno dignitosamente, senza la più pallida idea di cosa avrei fatto per guadagnarmi da vivere.
Il rischio di una scarsa capacità di progettare il futuro è quello di trovarsi a quarant’anni senza sapere bene cosa si farà da grande.
È il rischio di non “stare” mai veramente in quello che fai e avere la sensazione di operare sempre scelte provvisorie.
E badate che non si tratta di incapacità di assumere decisioni definitive o compiere scelte durature, quanto piuttosto di una vera e propria impossibilità di preoccuparsi del futuro.
Vivere il presente senza preoccuparsi troppo del futuro può rendere notevolmente più gradevole una vita in cui troppe sono le preoccupazioni inutili che spesso ci tolgono la serenità per pensare alle cose che veramente contano.
Gli aspetti positivi della mentalità esaminata sono, infatti, altrettanto consistenti.
“Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena”.
La maggior parte delle nostre preoccupazioni non ha ragion d’essere. Molti problemi che ci assillano, e che riguardano il futuro della nostra esistenza, non arriveranno mai sul nostro tavolo poiché, se riusciamo a mettere ordine nelle nostre preoccupazioni e li affrontiamo a tempo debito, si risolveranno da soli.
Ad una mamma che aveva osato avere nove figli, una donna domandò in tono di rimprovero: “ma come ha fatto signora ad avere tutti questi figli?”. “Uno alla volta” rispose saggiamente la prima.
Se cerchiamo di risolvere i problemi uno alla volta ne guadagneremo tanto in serenità e riusciremo a trovare tempo prezioso per pensare a tante altre cose che ci stanno a cuore.
Nel lavoro, poi, l’ordine nelle preoccupazioni è fondamentale per sopravvivere: se, infatti, abbiamo sulla scrivania tutte le pratiche da sbrigare per i prossimi dodici mesi, facilmente ci faremo prendere dall’angoscia; viceversa, se tiriamo fuori un fascicolo alla volta, quello più urgente, lavoreremo con molta più tranquillità e ci accorgeremo che molte di quelle pratiche che tanto ci spaventavano, se le esaminiamo a tempo debito, perderanno gran parte della difficoltà che ci incuteva tanto timore.
E non si tratta di essere imprevidenti, ma semplicemente di evitare le preoccupazioni inutili.
La stragrande maggioranza delle persone, peraltro, è angosciata da problemi assolutamente inconsistenti: possediamo un po’ tutti la tendenza a ricordare soltanto le cose che abbiamo fatto male, ad avere presente solo i nostri difetti ed i fallimenti che ci hanno accompagnato nella vita trascorsa; dimentichiamo, invece, molto in fretta le cose buone che abbiamo realizzato, i successi conseguiti ed i pregi del nostro carattere.
Dovremmo tutti imparare a valorizzare ogni giorno i lati positivi della nostra vita, che sono tanti, anziché ingigantire quelli negativi, che ci sembrano numerosi ma sono in realtà molto meno di quanto appaiano.
La visione pessimistica delle cose, infatti, tende a deformare la realtà, rendendola molto peggiore di quanto non sia effettivamente.
L’esperienza insegna che se assecondiamo tale pessimismo arriveremo a perdere il gusto delle cose più piacevoli della vita.
Ci sono purtroppo molte persone che non riescono a gioire più di niente e provano quasi un piacere sottile a trovare sempre cose che non vanno in ogni situazione anche piacevole della loro vita; la loro anima sembra trovare consolazione soltanto quando si scopre vittima di qualcosa o di qualcuno.
E’ lo stato d’animo descritto molto bene da Dostoevskij nel libro “Umiliati ed offesi”, e che almeno una volta nella vita ognuno di noi ha provato quando si è sentito offendere ingiustamente o si è visto bersaglio privilegiato della sfortuna.
E’ il piacere che si prova a scoprirsi “qualcuno” almeno nella sfiga, magra consolazione a cui talvolta ci si aggrappa per conquistare a tutti i costi l’attenzione degli altri.
La vita è molto più bella ed affascinante di quello che sembra e, spesso, sono gli occhiali con cui la guardiamo che sono inadeguati.